lunes, 21 de noviembre de 2022

franco arminio / de "postales de los muertos"








Afuera había un lindo día. No quería morir con todo ese sol allá fuera. Siempre he pensado morir de noche, a la hora que ladran los perros. Y, en cambio, he muerto a mediodía, mientras en la televisión comenzaba un programa de cocina. 

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Se dice que la hora más común en que se muere es antes del amanecer. Yo, por años, me despertaba a las cuatro de la mañana y esperaba en pie que viniese ese feo momento. Me ponía a leer o miraba la televisión. Alguna vez salía a la calle. He muerto a las siete de la tarde y no ha sido una cosa tan especial. Esa imprecisa incomodidad de estar en el mundo se ha terminado de repente.

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He caído de los andamios. En la mañana tenía sueño. Me había terminado el café. Harán procesos, absolverán o inculparán. Yo estoy convencido que si la lata de café hubiese estado llena, hoy todavía estaría vivo.

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Solo mi madre creía aún en mi recuperación. Me hervía la leche cada mañana. Iba a comprarme el diario. He muerto cuando ella no estaba: había ido donde el Padre Pio a rezar por mí.

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Yo paseaba, comía poco, buscaba no enojarme con ninguno. No ha servido de nada.

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Yo tenía once años y jugaba a colgarme. El portón me cayó encima. Una hoja de fierro soldado me rompió la cara.

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Ninguno me había explicado nada. He tenido que hacer todo solo: estar quieto y callado, enfriarme, empezar a descomponerme.

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En el manicomio alrededor de las cinco de la mañana. Mi vecino decía: no mueras, no mueras, mañana viene a verte tu hija, no mueras, espera que te viene a ver, espera.

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Era hermosa, tenía un lindo pololo. La enfermedad ha sido larga, parecía que estaba por mejorarme y luego estaba de nuevo mal. Él esperaba meses para poder darme un beso.

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En ciertos casos, el mío por ejemplo, la muerte es la guinda de la torta.

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Yo estaba en Zúrich. En el manifesto escribieron que yo había subido a la casa del Padre. La verdad es que me tiré del quinto piso.

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El día de Pasquetta. Y también el día siguiente. Sí, porque cuando se comienza a morir no se termina.

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Siempre he tenido los ojos llenos de lágrimas. Me llamaba Elvira y ahora no sé donde han acabado todas las lágrimas que he llorado, todas perdidas, ni siquiera una se ha salvado. Espero que solo cuando alguno de ustedes llore, en medio de sus lágrimas estén también las mías. Nosotros no somos eternos, pero los llantos son iguales y son iguales los dolores. Cambian solo los nombres. Yo era Elvira.

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Yo buscaba esa cosa que todos llaman amor y que ninguno sabe cómo dar. El amor es esa cosa que si la quieres verdaderamente, te será siempre negada. Y entonces mi tumor empezó cuando entendí que el amor nunca vendría. Se ennegrecían, se amotinaban, cada célula a la vez, como si no hubiese prisa, como si la muerte me quisiese dar el tiempo para convencerme que ella es la única solución.

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Yo que morí
ahora soy padre y soy madre
e hijo y hermana
y soy hoja y hormiga y gusano
y soy el negro de la nada.
Cada muerto es savia para las ramas,
es el motivo por el que reímos
es la semilla del llanto y del placer.
Cada muerto es la razón
por la que nos abrazamos,
es el tomarse y dejarse
es la huida y el rezo
es el amanecer y el hueso, es el viento
y su soplo.

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Somos siempre los mismos, somos una docena de personas que desde milenios y milenios nacen y mueren.

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Franco Arminio (Bisaccia, 1960) Cartoline dai morti. 2007-2017. Milán: nottetempo, 2017.
Versiones de Nicolás López-Pérez
Fotografía de Mario Dondero

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Fuori era una bella giornata. Non volevo morire con tutto quel sole fuori. Ho sempre pensato di morire di notte, nell'ora in cui abbaiano i cani. E invece sono morta a mezzogiorno, mentre alla televisione cominicava un programma di cucina.

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Si dice che l'ora più frequente in cui si muore è prima dell'alba. Io per anni mi sono svegliato alle quattro del mattino e ho aspettato in piedi che passasse l'ora brutta. Mi mettevo a leggere o guardavo la televisione. Qualche volta uscivo in strada. Sono morto alle sette di sera e non è stata una cosa così speciale. Quel vago fastidio di essere al mondo è finito all'improvviso.

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Sono caduto dall'impalcatura. Avevo sonno la mattina. Mi era finito il caffè. Faranno processi, assolveranno o incolperanno. Io sono convinto che se il barattolo del caffè fosse stato pieno oggi sarei ancora vivo.

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Solo mia madre ci credeva ancora alla mia guarigione. Mi bolliva il latte ogni mattina. Mi andava a comprare il giornale. Sono morto quando lei non c'era: era andata a pregare per me da Padre Pio.

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Io passeggiavo, mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente.

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Io avevo undici anni e giocavo ad appendermi. Il cancello mi è caduto addosso. Una foglia di ferro battuto mi ha rotto la faccia.

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Nessuno mi aveva spiegato niente. Ho dovuto fare tutto da solo: rimanere fermo e muto, raffreddarmi, iniziare a decompormi.

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Nel manicomio verso le cinque del mattino. Il mio vicino mi diceva: non morire, non morire, domani viene a trovarti tua figlia, non morire, aspetta che ti viene a vedere, aspetta.

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Ero bella, avevo un bel fidanzato. La malattia è stata lunga, sembrava che stavo per guarire e poi stavo di nuovo male. Lui aspettava mesi per potermi dare un bacio.

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In certi casi, il mio per esempio, la morte è la ciliegina sulla torta.

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Io stavo a Zurigo. Sul manifesto hanno scritto che sono salita alla casa del Padre. La verità è che mi sono buttata dal quinto piano.

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Il giorno di Pasquetta. E anche il giorno dopo. Sí, perché quando si comincia a morire non si finisce più.

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Ho sempre avuto gli occhi pieni di lacrime. Mi chiamavo Elvira e ora non so dove sono finite tutte le lacrime che ho pianto, tutte perdute, nemmeno una lacrima si è salvata. Io spero solo che quando qualcuno di voi piange in mezzo alle sue lacrime ci siano anche le mie. Noi non siamo eterni, ma i pianti sono uguali e sono uguali i dolori. Cambiano solo i nomi. Io ero Elvira.

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Io cercavo quella cosa che tutti chiamano amore e che nessuno sa dare. L'amore è quella cosa che se la vuoi veramente ti sarà sempre negata. E allora il mio tumore è iniziato quando ho capito che l'amore non sarebbe mai arrivato. Si è annerita, si è ammutinata una cellula alla volta, come se non ci fosse fretta, come se la morte mi volesse dare il tempo per convicermi che è lei l'unica soluzione.

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Io che sono morto
ora sono padre e sono madre
e figlio e sorella
e sono foglia e formica e verme
e sono il nero del niente.
Ogni morto è linfa per i rami,
è il motivo per cui ridiamo,
è il seme del piangere e del piacere.
Ogni morto è il motivo
per cui ci abbracciamo,
è il prendersi e lasciare,
è il fuggire e il pregare,
è l'alba e l'osso, è il vento
e il suo girare.

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Siamo sempre gli stessi, siamo una decina di persone che da millenni e millenni nascono e muoiono.

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